IsFel compie 25 anni

25 anni di attività per l’Istituto di Formazione Feldenkrais fondato da Mara Della Pergola nel 1988, quando il Metodo Feldenkrais in Italia era ancora sconosciuto. Quanta strada da allora: ora ogni anno sono circa 240 le persone  che nel nostro Paese partecipano a una formazione per diventare insegnanti Feldenkrais.  Per la fondatrice dell’IsFel è un momento di gioia e di soddisfazione, ripensando alla lunga strada percorsa, alla semina e alla raccolta di un quarto di secolo in termini di diffusione del Metodo Feldenkrais e di formazione degli insegnanti. È al tempo stesso un’occasione di riflessione: “Venticinque anni fa, nel settembre 1988, è iniziato il primo corso formazione e oggi, con rinnovata emozione, iniziamo un nuovo percorso con gli allievi di Milano 8. In questi ultimi dieci anni ho insegnato in più di 30 diverse Formazioni in Italia e all’estero. Sono direttrice pedagogica di 5 formazioni in Italia, ho condotto molti post training da sola e insieme a colleghi e ora vorrei nuovamente condividere alcuni pensieri e alcune mie scelte, per raccontare a chi si è diplomato nei primi corsi e anche a chi ha seguito altre formazioni in Italia o all’estero, cosa è cambiato e in che direzione sto andando.
Nel 2001 ho scritto per il Notiziario dell’AIIMF (Associazione Insegnanti Italiani Metodo Feldenkrais) un articolo sulla formazione, nel quale ripercorrevo il percorso formativo progettato da Moshe dagli Anni‘70 al 1981 a Tel Aviv, S.Francisco e Amherst e descrivevo l’evoluzione delle formazioni dopo la sua scomparsa. Quell’articolo voleva aprire un dialogo tra i colleghi italiani su cosa significasse per noi fare formazione, quali fossero le aspettative verso una scuola così particolare e poco tradizionale e quali i risultati di una formazione di quattro anni, che in gran parte ricalcava il modello proposto da Moshe vent’anni prima. In quel testo parlavo della grande differenza tra i primi corsi dopo la scomparsa di Feldenkrais e quelli del decennio successivo: all’inizio non c’era materiale fornito dalle scuole, soltanto appunti personali degli allievi e alcune cassette audio, il che spingeva le persone ad accaparrarsi materiale che magari sarebbe stato poco utilizzato e non condiviso. A un certo momento, proprio per motivi pedagogici, si è interrotta la regola del non passare le lezioni del corso agli iscritti e alcune scuole hanno iniziato a dare le registrazioni agli allievi. Fin dal corso Milano 1 IsFel ha dato le cassette perché venissero trascritte, ma allora ogni allievo riceveva solo una giornata da sbobinare. Nel tempo sono stati trascritti tutti i corsi e i testi si sono fatti sempre più completi e ben redatti, grazie ad alcuni allievi che coordinavano con generosità il lavoro dei compagni. Se all’inizio gli allievi avevano difficoltà a organizzarsi, poi capivano l’importanza di avere il manuale del corso e apprezzavano l’opportunità di rifare e di trascrivere tutte le lezioni e anche le discussioni. Da qualche anno ogni iscritto riceve due DVD l’anno con tutte le registrazioni. Chiedo comunque loro di continuare a trascrivere per creare il loro prezioso manuale. C’è una ragione pedagogica alla base della mia richiesta: la trascrizione è un momento di cooperazione e di generosità; è un modo di arginare la passività di chi vuol ricevere tutto già sbobinato; è un’attività che richiede organizzazione nella revisione del materiale e che alla fine dà molta sicurezza. Suggerisco inoltre agli allievi di tenere il proprio diario delle sensazioni, dei pensieri ed eventualmente anche dei sogni, così che ognuno possa arricchire la registrazione oggettiva del corso con il proprio vissuto e le proprie associazioni. Nei corsi Milano 6 e Milano 7 alcuni partecipanti hanno creato anche un secondo manuale che raccoglie, anno per anno, tutte le IF insegnate.
Il programma del corso è sempre meglio organizzato. I formatori della mia generazione sono cresciuti insieme ai loro allievi, hanno raffinato la loro capacità di insegnare e di comunicare, hanno scambiato idee e pratica con i colleghi trainer, si sono aggiornati e hanno elaborato nuovi modelli per facilitare la comprensione e la pratica del metodo. Nei miei corsi continuo a seguire il programma dei primi due anni di Amherst, ma organizzo le lezioni con un diverso ordine, inserendo tra l’altro moltissime lezioni di Alexander Yanai, Esalen, San Francisco oltre a mie personali rielaborazioni. Collego da subito la pratica delle CAM con l’esplorazione in IF, senza aspettare il terzo anno. Quando è possibile, creo delle mini CAM per facilitare la comprensione dell’IF. Nel tempo ho scoperto che le lezioni di Amherst possono essere collegate tra loro in modo diverso e hanno sempre un senso. Questa è la ricchezza del materiale che abbiamo a disposizione. Ora tutto il materiale video di Amherst è disponibile agli insegnanti e consiglio di farlo e di studiarlo.
Durante il primo anno si inizia a creare un vocabolario comune tra gli allievi e la scuola. Per vocabolario non intendo soltanto un accordo circa le indicazioni rispetto alla persona o allo spazio (in su, in giù , davanti e dietro), ma un modo comune e neutro di parlare di ciò che si osserva dell’altro, di ciò che si sente mentre lo si tocca e di ciò che si sente mentre si è toccati. A questo scopo creo esercitazioni in coppie, in triadi o in piccoli gruppi e anche momenti più giocosi. L’attenzione al linguaggio per me va molto oltre la semplice espressione verbale: si traduce in attenzione verso l’altro senza giudizi e quindi senza preconcetti.
Le lezioni, che all’inizio vanno vissute come esperienza sensoriale e concreta, successivamente vengono mostrate sullo scheletro, vengono osservate nelle diverse interpretazioni degli allievi e analizzate tra compagni, che iniziano a insegnare tra di loro, inizialmente in coppia e successivamente da soli. Gli allievi fanno pratica di conduzione di gruppo con una traccia fornita dall’insegnante, poi con lezioni di base prese dai testi o dal corso stesso. Si facilita così la comprensione dei principi e della pratica del Metodo Feldenkrais a diversi livelli: sensoriale, cognitivo e sociale, cioè di interazione attraverso il gruppo. La pratica di insegnamento inizia quindi presto e le supervisioni del secondo anno continuano anche negli anni successivi. L’autorizzazione a insegnare le CAM a partire dal terzo anno è per l’allievo un incoraggiamento a praticare, per poter poi arricchire la propria preparazione attraverso gli ulteriori feed back dei formatori.
Invito inoltre gli allievi del terzo anno a creare dei progetti di insegnamento,  a partire o dall’interesse personale (corsa, danza ecc.) o dall’occasione di lavorare con un gruppo specifico (colleghi di lavoro, gruppi di bambini, ecc); con la mia disponibilità a seguirli nella ideazione e nella programmazione delle lezioni.
Nelle formazioni Feldenkrais non abbiamo né esami finali né discussione di tesi, ma operiamo una costante verifica del percorso pedagogico, con supervisioni all’insegnamento delle CAM durante il secondo anno e alle IF durante il quarto; dunque i progetti, con tutta la precedente programmazione e con i successivi elaborati che ne documentano l’esperienza, si sono rivelati un importante momento di scambio di idee e di informazioni tra compagni; sono stati una “prova accompagnata” di insegnamento, da cui partire una volta diplomati,e possono essere considerati l’avvallo concreto, ma anche simbolico, al diventare insegnanti Feldenkrais.
Per quanto riguarda l’Integrazione Funzionale, i primi passi iniziano da subito come semplici esplorazioni dell’organizzazione del compagno, come capacità di metterlo comodo così come si trova, di sostenerlo e di seguirlo nei suoi movimenti e di toccarlo con delicatezza e sensibilità. Sono anche orientati all’autorganizzazione, quindi molto collegati alle CAM. Via via le esplorazioni si fanno più ampie e mettono in relazione le varie parti del corpo in un contesto dinamico e funzionale. La pratica in classe con persone estranee al corso inizia nel terzo anno ed è regolarmente seguita dagli insegnanti. Le supervisioni finali restano al quarto anno, anche se penso che potrebbero essere organizzate gradualmente a partire dal terzo, suddividendo la classe in sottogruppi che fanno attività diverse con gli assistenti.
Per quanto riguarda i formatori, seguo una regolare rotazione con i trainer ospiti. Alcuni di loro hanno insegnato costantemente in tutti i miei corsi e continuo a invitarli, ma in ogni formazione invito uno o più trainer nuovi, che spesso non sono mai stati in Italia, in modo da variare il programma con stili diversi, ma anche per offrire a tutti i diplomati e agli allievi dei corsi precedenti l’opportunità di aggiornarsi nella formazione successiva incontrando nuovi formatori. Supero sempre il minimo dei quattro diversi formatori richiesti dal TAB, non propongo un corso “familiare” nel quale insegnano soprattutto due colleghi fissi, con due soli ospiti. Sono molto presente durante tutto il corso, anche quando non insegno, per dare agli allievi la possibilità di colloqui individuali con me. In quasi tutte le formazioni ho invitato esperti di altre discipline, per tenere lezioni su tematiche diverse; ad esempio lo sviluppo del bambino dal punto di vista di un pediatra e, in un altro corso, di una neurologa/fisiatra, la quale è poi ritornata per parlare anche della locomozione. Sono venuti un fisico, una ricercatrice CNR che ci ha parlato dell’uso del linguaggio, un docente dell’università di La Jolla, California, che ha presentato il suo lavoro nelle scienze cognitive, una poetessa che ha fatto un intervento su creatività e linguaggio. Gli incontri sono sempre molto apprezzati e stimolanti.
Altro obiettivo che mi pongo nelle formazioni è far sì che si esplori una precisa qualità di verbalizzazione e una eventuale scrittura riguardo al Metodo Feldenkrais. Per trovare parole che non annoino, che non siano banali e scontate; che non siano la semplice ripetizione di quello che hanno detto i trainer in classe.
Ecco, queste sono alcune mie riflessioni dopo i tanti anni di formazione. Spero siano utili, così come mi auguro che siano di stimolo per i miei colleghi a fornire ulteriori riflessioni e contributi.”